Quando
Liesel arriva nel piccolo paese alle porte di Berlino per conoscere i
suoi nuovi genitori, la vita le ha già mostrato la parte più
orribile; nella lunga traversata verso la destinazione ha visto
morire il fratellino, destinato come lei ad essere adottato, e si è
dovuta separare repentinamente dalla madre, deportata per via delle
sue idee politiche (è comunista). Hans e Rosa Hubermann, però, sono
delle brave persone. Certo, Rosa è piuttosto rude, a volte
fastidiosa, ma ha un cuore grande. Hans, poi, con i capelli
spettinati, la fisarmonica sempre pronta a suonare e quella tenerezza
speciale nel prenderla per mano, è davvero il re buono delle favole.
Ma la guerra è spietata e continua a devastare tutto; Liesel lo
comprende il primo giorno di scuola, quando viene aggredita dai
compagni di classe perché è analfabeta. Le bandiere con la svastica
coprono tutto l'edificio e il luogo che dovrebbe educare alla
bellezza e proteggere la conoscenza diventa l'ennesimo territorio di
conquista per gli adepti di Hitler. Liesel però ha l'amicizia di
Rudi e tanto le basta per sopportare meglio quei giorni. Eppure tutto
sta ancora per cambiare per la bimba, nel momento in cui in casa
arriva Max, un giovane ebreo, fuggito ai rastrellamenti nazisti, che
viene amorevolmente nascosto da Hans e Rosa. Quello sconosciuto dal
volto emaciato instaura con lei un rapporto di grande amicizia;
Liesel diventa i suoi occhi e inizia a scoprire il piacere di usare
le parole apprese anche grazie a papà Hans per raccontare a Max le
piccole e grandi novità della vita. La bimba fa tesoro di questo
dono e lo sfrutta in altri momenti difficili, ad esempio quando Max
si ammala gravemente; Liesel decide di curarlo (e guarirlo)
leggendogli ogni giorno decine e decine di pagine di libri rubati
dalla biblioteca del borgomastro. Se nelle parole, come l'amico le ha
detto, è nascosto il segreto della vita, quel segreto la aiuterà a
non far morire chi ama.
00:02:27
Liesel la ladra
Tratto dal best seller di Markus Zusak (La bambina che salvava i libri, ben otto milioni di copie vendute in tutto il mondo) il film di Brian Percival, Storia di una ladra di libri, è un'opera gradevole, in cui ricostruzione storica e gusto del racconto si intrecciano alla perfezione, per un risultato finale che, pur non essendo particolarmente originale, arriva al cuore. Noto per aver diretto numerosi episodi della serie televisiva di culto, Downton Abbey, Percival riesce a mantenersi in equilibrio nel raccontare la storia di questa piccola eroina, la brava Sophie Nélisse di Monsieur Lazhar, senza scadere nel patetico. E' un merito grande in un'operazione del genere, in cui l'aspetto lacrimevole rischia di coprire i reali contenuti della narrazione. E' un film lineare, quello di Percival, il cui intento è quasi pedagogico; esso raggiunge con facilità l'obiettivo che si prefigge, non solo esaltare il coraggio degli umili, ma anche sottolineare che è proprio la cultura (rappresentata qui dai libri e dal voler raccontare) l'unica roccaforte in grado di salvarci dalla malvagità. L'insopprimibile desiderio di imparare a leggere e scrivere è per Liesel la stessa spinta che la porta a vivere, ad andare avanti, a riscattare il dolore vissuto (la morte del fratellino, la separazione dalla madre) attraverso fantasia e creatività; subito si instaura un legame forte col suo nuovo papà, Hans (Geoffrey Rush, estremamente misurato). E' lui a insegnarle a leggere il primo libro, a scrivere per lei un abbecedario sul muro del seminterrato. Ladra per necessità, quindi, e poi per passione, amore, voglia di vivere.
Questione di cultura
Dunque sono i libri da salvare e a salvare; il primo 'furto' è quello del romanzo di H.G. Wells, L'uomo invisibile, finito in uno dei tanti roghi voluto dal regime nazista per colpire oppositori politici e scrittori considerati immorali o sconvenienti. Per Liesel quel gesto irresponsabile diventa il primo atto di consapevolezza piena della sua diversità, rispetto all'avvilente realtà che la circonda. Diviene insomma un 'no' gridato contro Hitler; anche perché i vessilli nazisti sulla scuola e i canti dei bambini in uniforme (che Percival alterna efficacemente alle immagini delle rappresaglie contro gli ebrei) sono il segno più spaventoso di una barbarie galoppante, difficilmente arginabile, non da una bambina almeno. Ecco perché Liesel non è un personaggio eroico in senso classico, è solo una bambina che tenta di comprendere quanto sta avvenendo attorno a lei e che diventa grande, senza sacrificare gli affetti, anzi, ritrovando in ogni rapporto umano il movimento necessario per andare avanti. Leggere, scrivere, raccontare, questa è la vita, le parole hanno il potere di far vedere ciò che non si può e quando Max sbianchetta il Mein Kampf e lo trasforma in un diario in cui la ragazzina potrà appuntare la sua vita, rivedere momenti del passato, il cerchio si chiude.
Liesel la ladra
Tratto dal best seller di Markus Zusak (La bambina che salvava i libri, ben otto milioni di copie vendute in tutto il mondo) il film di Brian Percival, Storia di una ladra di libri, è un'opera gradevole, in cui ricostruzione storica e gusto del racconto si intrecciano alla perfezione, per un risultato finale che, pur non essendo particolarmente originale, arriva al cuore. Noto per aver diretto numerosi episodi della serie televisiva di culto, Downton Abbey, Percival riesce a mantenersi in equilibrio nel raccontare la storia di questa piccola eroina, la brava Sophie Nélisse di Monsieur Lazhar, senza scadere nel patetico. E' un merito grande in un'operazione del genere, in cui l'aspetto lacrimevole rischia di coprire i reali contenuti della narrazione. E' un film lineare, quello di Percival, il cui intento è quasi pedagogico; esso raggiunge con facilità l'obiettivo che si prefigge, non solo esaltare il coraggio degli umili, ma anche sottolineare che è proprio la cultura (rappresentata qui dai libri e dal voler raccontare) l'unica roccaforte in grado di salvarci dalla malvagità. L'insopprimibile desiderio di imparare a leggere e scrivere è per Liesel la stessa spinta che la porta a vivere, ad andare avanti, a riscattare il dolore vissuto (la morte del fratellino, la separazione dalla madre) attraverso fantasia e creatività; subito si instaura un legame forte col suo nuovo papà, Hans (Geoffrey Rush, estremamente misurato). E' lui a insegnarle a leggere il primo libro, a scrivere per lei un abbecedario sul muro del seminterrato. Ladra per necessità, quindi, e poi per passione, amore, voglia di vivere.
Questione di cultura
Dunque sono i libri da salvare e a salvare; il primo 'furto' è quello del romanzo di H.G. Wells, L'uomo invisibile, finito in uno dei tanti roghi voluto dal regime nazista per colpire oppositori politici e scrittori considerati immorali o sconvenienti. Per Liesel quel gesto irresponsabile diventa il primo atto di consapevolezza piena della sua diversità, rispetto all'avvilente realtà che la circonda. Diviene insomma un 'no' gridato contro Hitler; anche perché i vessilli nazisti sulla scuola e i canti dei bambini in uniforme (che Percival alterna efficacemente alle immagini delle rappresaglie contro gli ebrei) sono il segno più spaventoso di una barbarie galoppante, difficilmente arginabile, non da una bambina almeno. Ecco perché Liesel non è un personaggio eroico in senso classico, è solo una bambina che tenta di comprendere quanto sta avvenendo attorno a lei e che diventa grande, senza sacrificare gli affetti, anzi, ritrovando in ogni rapporto umano il movimento necessario per andare avanti. Leggere, scrivere, raccontare, questa è la vita, le parole hanno il potere di far vedere ciò che non si può e quando Max sbianchetta il Mein Kampf e lo trasforma in un diario in cui la ragazzina potrà appuntare la sua vita, rivedere momenti del passato, il cerchio si chiude.
spazio
Germania, anno zero
Lo scrittore Zusak nasce in Australia da madre tedesca e padre austriaco, è quindi il rappresentante di una 'nuova generazione', che ha fatto propria la tragica esperienza dei padri e dei nonni, modulandola in maniera diversa, proponendola sotto una luce differente. Tra gli aspetti più interessanti del film, infatti, c'è proprio la novità del punto di vista; la storia (anche quella con la S maiuscola) viene presentata cioè dalla prospettiva dei tedeschi e sono uomini e donne perbene. La moglie del borgomastro mette a disposizione di Liesel la sterminata biblioteca del figlio (che sarà poi saccheggiata per motivi di forza maggiore dalla bambina), Hans e sua moglie Rosa, malgrado i mugugni della donna, la bravissima Emily Watson, sono pronti a rischiare tutto pur di salvare Max e il piccolo Rudi, atleta sopraffino, si dipinge di nero per assomigliare all'idolo Jesse Owens, 'l'uomo più veloce del mondo'. Pochissimi dunque i riferimenti alla popolazione silenziosamente accondiscendente o a chi appoggiava acriticamente i progetti del Fuhrer; questa scelta di campo nettissima non priva il film della sua drammaticità, ma certo lo trasforma più in una sorta di fiaba, seppur venata di nostalgia e dolore, che non nel resoconto di una società profondamente dilaniata. Eppure, è proprio questo slancio, questa fiducia negli esseri umani, che alla fine ci commuove. E ci regala un po' di speranza in più.
Germania, anno zero
Lo scrittore Zusak nasce in Australia da madre tedesca e padre austriaco, è quindi il rappresentante di una 'nuova generazione', che ha fatto propria la tragica esperienza dei padri e dei nonni, modulandola in maniera diversa, proponendola sotto una luce differente. Tra gli aspetti più interessanti del film, infatti, c'è proprio la novità del punto di vista; la storia (anche quella con la S maiuscola) viene presentata cioè dalla prospettiva dei tedeschi e sono uomini e donne perbene. La moglie del borgomastro mette a disposizione di Liesel la sterminata biblioteca del figlio (che sarà poi saccheggiata per motivi di forza maggiore dalla bambina), Hans e sua moglie Rosa, malgrado i mugugni della donna, la bravissima Emily Watson, sono pronti a rischiare tutto pur di salvare Max e il piccolo Rudi, atleta sopraffino, si dipinge di nero per assomigliare all'idolo Jesse Owens, 'l'uomo più veloce del mondo'. Pochissimi dunque i riferimenti alla popolazione silenziosamente accondiscendente o a chi appoggiava acriticamente i progetti del Fuhrer; questa scelta di campo nettissima non priva il film della sua drammaticità, ma certo lo trasforma più in una sorta di fiaba, seppur venata di nostalgia e dolore, che non nel resoconto di una società profondamente dilaniata. Eppure, è proprio questo slancio, questa fiducia negli esseri umani, che alla fine ci commuove. E ci regala un po' di speranza in più.
((FRA
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