Non
per essere campanilisti, ma per una serie di motivi legati anche alla
chiave narrativa ed estetica scelta dai registi, nessuno dei film in
nomination avrebbe potuto quest’anno scippare l’Oscar al film di
Sorrentino.
Si
trattava comunque di ottimi film, che provenivano da Belgio,
Palestina, Cambogia, ma su tutti un meritato approfondimento va a
“The Hunt”, film danese diretto da Thomas Wittemberg, regista di
“Festen” e “Le Forze del Destino”.
Vale
davvero la pena di cercare questo film nelle videoteche, sui canali
satellitari o in qualche circuito cinematografico indipendente (a
Roma ormai introvabile).
La
storia è ambientata in una tranquilla località nella campagna
danese, dove un uomo “per bene”, Lucas, dopo un divorzio
traumatico, sta cercando di rimettere insieme i pezzi della sua vita.
Si dedica con passione al suo lavoro di assistente all’infanzia
nell’asilo del luogo, divide la sua casa con una cagnolina, è
amato dagli amici, in particolare Theo e i suoi familiari, con cui
condivide tra l’altro la passione per le battute di caccia al
cervo, occasione per grandi bevute e allegre riunioni con gli altri
“maschi” della cittadina.
La
tranquillità di Lucas è oscurata dagli ostacoli messi dalla ex
moglie per la custodia del figlio adolescente, che sembra essere
l’unico grande problema della sua vita, fino a quando purtroppo la
piccola Klara, figlia dell’amico fraterno Theo, con l’innocente
malvagità che a volte caratterizza i bambini, e il deliberato
intento di fare un dispetto, si inventa una verosimile storia di
presunte molestie a suo danno operate proprio da Lucas. Partendo dal
presupposto che i bimbi non mentono mai, e nonostante Klara voglia
ritrattare le sue affermazioni, la comunità, in preda ad un
meccanismo di isteria collettiva, si scatena implacabile contro Lucas
in una sorta di caccia (“The Hunt”, non a caso è
l’azzeccatissimo titolo originale), di accerchiamento, dove gli
attori principali mettono in scena le loro miserie e le loro
paure,dove il vero e il verosimile si confondono in un crudele rito
sacrificale ai danni di Lucas, che le autorità peraltro non
riconoscono colpevole. Lucas diventa il capro espiatorio da
annientare, perde il lavoro, la dignità sociale, gli amici, la nuova
compagna, persino la cagnetta, che gli viene vigliaccamente uccisa.
La reazione della comunità per espellere “il rifiuto” umano è
quanto di più spietato e disumano si possa subire.
Nella
cittadina nordica e ordinata, nessuna pietà viene concessa al
sospettato, che nonostante tutto mantiene lucidità, autocontrollo,
forza d’animo e dignità, fino ad un punto di rottura...
Un
film di grande valore antropologico, intelligente, carico di violenza
inespressa, ma anche di umanità e pietà. Un film molto asciutto e
privo di compiacimento, un film che fa pensare, che fa parteggiare.
Mads
Mikkelsen, una faccia ben nota anche alle platee internazionali
(“Hannibal”,”Casino Royale”), ma già attore di culto in
patria, ha ampiamente meritato i riconoscimenti avuti a Cannes per la
sua interpretazione misurata, eppure piena di pathos.
(Nella foto,
il suo ringraziamento per la Palma d’Oro come Miglior Attore
Protagonista a Cannes)
Il
film ha avuto una storia festivaliera di tutto rispetto: premiato a
Toronto e Cannes, è stato nominato ai Golden Globe e agli Oscar, e
se non avesse avuto la sfortuna di incappare in entrambe le
manifestazioni in un concorrente inarrivabile e favorito come “La
Grande Bellezza”, avrebbe di certo portato a casa qualche premio in
più.
Ma
la storia di un film non la fanno solo i premi, e chi avrà modo di
vedere “Il Sospetto” di certo lo porterà nella memoria per il
carico di significati che riveste.
Francesca
De Toma
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