venerdì 27 giugno 2014

“Regione Lazio”










Ricordate?
Aveva promesso Mario Monti: mai più il vitalizio a cinquant’anni, e mai più dopo soli cinque anni. Erano i giorni roventi dello scandalo della Regione Lazio e il governo dei tecnici, alle prese con quella rogna, aveva deciso di andarci giù pesante.
Così nel decreto che finalmente sottoponeva a controlli i bilanci dei gruppi politici comparve una norma che vietava ai consiglieri regionali di intascare il vitalizio o la pensione prima di aver compiuto 66 anni di età e comunque senza aver completato dieci anni di mandato.
Ma ecco spuntare in Parlamento il solito emendamento bipartisan, e il divieto magicamente evaporò: consentendo per esempio anche ai consiglieri regionali del Lazio travolti dallo scandalo di Batman & co. di continuare a usufruire di regole che consentivano di percepire un ricco vitalizio dopo solo un quinquennio e già a cinquant’anni. 

La prova è nei conti del Consiglio, dove compare una voce di 20,4 milioni di euro.
Quel capitolo comprende appunto la spesa per i vitalizi degli ex consiglieri regionali: ben 17 milioni.

Fatto che suona offensivo nei confronti di tante persone costrette dai conti pubblici traballanti a rimandare di anni la pensione, nonché delle migliaia di esodati rimasti senza lavoro e senza assegno previdenziale. 
 
E poi ci sono, le perdite.
Come l’emorragia di 71.120 euro al giorno dell’azienda di trasporto Cotral, che a fine 2012 aveva un patrimonio netto negativo per 15 milioni.
O la voragine dell’Arsial, l’agenzia regionale creata per sostenere l’agricoltura, commissariata, che ha 17 milioni di debiti.
Un decimo dei quali sul groppone di un ristorante.
Che ci fa un ristorante fra le proprietà di una Regione?
Bella domanda, da girare a Francesco Storace.
Era lui il governatore del Lazio quando nel 2003 aprì l’Enoteca regionale, nientemeno che in via Frattina a Roma.
Parliamo di una delle strade più commerciali del centro della capitale, a due passi da piazza di Spagna.
Anche impegnandosi, perdere soldi con un ristorante in quel posto, è impossibile.
Ma la Regione c’è riuscita.
E senza neppure dover pagare l’affitto dei locali, di sua proprietà.
Certo, 21 persone a lavorare lì forse erano un po’ troppe..., ma la due diligence disposta dalla amministrazione fanno capire che un sacco di altre cose non andavano.
A cominciare dall’inventario cartaceo del magazzino 2012, introvabile.
Per continuare con l’assenza di “un monitoraggio degli ordini di acquisto”.
O con le fatture ancora da emettere per centinaia di migliaia di euro risalenti addirittura a prima del 2007.
Oppure con le centinaia di pasti consumati gratis da assessori e politici.
O ancora, con la chiusura per ferie nelle settimane di maggior affluenza turistica.
Da qui ad accumulare un milione e mezzo di debito con i soli fornitori il passo è davvero breve. Mentre breve, purtroppo, non sarà il lavoro per sistemare i problemi che saltano fuori ogni minuto. 


Prendiamo Sviluppo Lazio.
Nella sua pancia ci sono 76 pacchetti azionari, come il 10 per cento di Investimenti spa, società controllante della vecchia Fiera di Roma che ha chiuso l’ultimo bilancio con un buco da 31 milioni. Ben 47 delle partecipazioni in questione fanno capo alla Filas, la Finanziaria laziale di sviluppo che compra quote di minoranza in imprese private, di cui scopriremo fra poco qualche interessante dettaglio.
Nell’attesa, raccontiamo che cosa hanno trovato gli ispettori della Banca d’Italia passando al setaccio, nell’estate del 2012, le carte di Banca Impresa Lazio (Bil). E’ una delle altre società di Sviluppo Lazio che ha il compito di garantire prestiti concessi alle piccole imprese dalle quattro banche che ne sono anche azioniste di minoranza: Intesa, Unicredit, Bnl e Banca di credito cooperativo.
Lavoro analogo, praticamente, a quello che dovrebbe svolgere Unionfidi Lazio, anch’essa partecipata dalla stessa Sviluppo Lazio. La Vigilanza descrive “criticità della complessiva situazione aziendale” e “lacunosa struttura contrattuale” affidata a un consiglio di amministrazione con “insufficiente capacità di supervisione strategica”, il che “ha determinato un’involuzione caratterizzata da una redditività strutturalmente negativa, nonostante le ampie provvidenze assicurate dalla Regione”.
In tre parole, non sta in piedi. 
La Bil ha risposto predisponendo un nuovo piano industriale, che la Banca d’Italia ha rispedito al mittente giudicandolo “aleatorio”.
E tanto basta.
Né gli esperti della giunta Zingaretti sono arrivati a conclusioni molto diverse.
Con 103 mila euro di spesa media procapite per il personale, doppio rispetto ai 52 mila euro dei principali concorrenti, un numero di dirigenti e quadri pari al 73,6% del totale, un costo per pratica di 6.200 euro a fronte di 1.000 del mercato, e 29 pratiche l’anno lavorate per dipendente contro 120, non si va da nessuna parte.
Infatti la perdita di 617 mila euro degli ultimi due anni ha intaccato seriamente il patrimonio netto.

Poi, dicevamo, c’è la Filas con le sue 47 partecipazioni.
Ma 3 sono in società pubbliche.
Altre cinque sono in liquidazione o concordato preventivo, mentre ben 12 sono fallite.
Incentive di Antonio De Martini (15% la quota della Regione) il cui principale azionista era la Motori mentali srl, che annovera nella compagine sociale l’ex parlamentare ed ex consigliere regionale del Lazio Luca Danese, nipote di Giulio Andreotti, nonché Stefania Tucci, incidentalmente ex consorte di Gianni De Michelis ed ex compagna di Luigi Bisignani, condannata a cinque anni in primo grado dal tribunale di Napoli, come riferisce l’Ansa, per una vicenda relativa alla storica tangentona Enimont.


Sette, poi, non hanno neanche sede nella Regione o svolgono comunque attività fuori dai confini regionali.
Che cosa c’entrano con lo “sviluppo” del Lazio dovrebbero spiegarlo.
Tre sono a Napoli, una gestisce call center in Sicilia e Puglia, una quinta sta a La Spezia, la sesta è bergamasca e l’ultima, la Mediapharma srl, ha base a Chieti: fra gli azionisti c’è anche il gruppo di Carlo Toto, quello dell’Air one.
Delle tre napoletane, va menzionata la società di ricerca K4A srl, dove la Regione Lazio ha il 13,5%. Non fosse altro perché il 24% del capitale è posseduto da Danilo Broggi, attuale amministratore delegato dell’Atac nominato a luglio dal sindaco di Roma Ignazio Marino, mentre una quota identica è nelle mani di Dario Scalella, amministratore di una società di pulizie del Comune di Napoli.

Nel portafoglio della Filas non manca davvero niente.
Ci sono partecipazioni in aziende informatiche, ditte che producono videogiochi, torrefazioni di caffè, servizi per disabili, società di consulenza, e di ricerca medica qual è la Lay line genomics: dov’è a capo dei revisori Piergiacomo Jucci, figlio dell ex comandante dell’arma dei carabinieri Roberto Jucci incidentalmente imparentato con Andreotti (per via delle rispettive mogli, cugine), che in passato aveva condiviso interessi farmaceutici con Giuliana Iozzi, consorte di Cesare Geronzi, da sempre considerato il banchiere andreottiano per eccellenza.

La Finanziaria della Regione Lazio detiene persino il 21% della Holding di iniziativa industriale nella quale, oltre a Generali e Unicredit figurano l’immobiliarista Vittorio Casale, finito nei guai un paio d’anni fa a causa del crac del suo gruppo Operae, Piero Coin e Matteo Marzotto.
Naturalmente ci sarebbe da chiedersi se iniziative del genere debbano rientrare nei compiti di un ente di pura programmazione quale dovrebbe essere una Regione.

Che però sia difficile andare avanti così lo capirebbero anche i bambini.
Zingaretti ha già cominciato a chiudere, commissariare a potare.
L’azienda per la sanità pubblica è stata internalizzata, le società di Sviluppo Lazio verranno fuse nella capogruppo, le imprese di trasporto concentrate in una sola, con il risultato di ridurre da 88 a 13 le poltrone di vertice e risparmiare diversi milioni.
Per le partecipazioni non considerate strategiche è prevista la cessione.
Ma l’impressione è che l’operazione sarà lunga e faticosa, fra pressioni politiche e carte bollate.
C’è solo da sperare che il fisico regga. Auguri.

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