“L'odio
come fattore di lotta, l'odio intransigente contro il nemico, che
permette all'uomo di superare i suoi limiti naturali e lo trasforma
in una efficace, violenta, selettiva e fredda macchina per uccidere.
I nostri soldati devono essere così: un popolo senza odio non può
distruggere un nemico brutale. Bisogna portare la guerra fin dove il
nemico la porta: nelle sue case, nei suoi luoghi di divertimento.
Renderla totale. Non bisogna lasciargli un minuto di tranquillità,
bisogna farlo sentire come una belva braccata”.
Ernesto
Guevara de la Serna
è stato un rivoluzionario,
guerrigliero,
scrittore
e medico argentino.
Nasce
a Rosario
in Argentina il 14
giugno
1928
e
muore a La
Higuera
il 9
ottobre
1967.
Il soprannome di
"Che" venne attribuito a Guevara dai compagni di lotta
cubani in Guatemala,
e deriva dal fatto che Guevara, come tutti gli argentini, pronunciava
spesso la locuzione
"che"
usata per chiamare l'attenzione.
Nella
prima metà del 1965 lasciò Cuba
per attuare la Rivoluzione popolare in altri Paesi, prima nell'ex
Congo
Belga,
poi in Bolivia.
L'8 ottobre 1967 venne ferito e catturato da un reparto
anti-guerriglia dell'esercito boliviano, il giorno successivo venne
ucciso e mutilato delle mani nella scuola del villaggio.
Il
suo cadavere fu sepolto in un luogo segreto e ritrovato da una
missione di antropologi forensi argentini e cubani nel 1997. Da
allora i suoi resti si trovano nel Mausoleo di Santa
Clara
di Cuba.
Da giovane dopo aver
visto la povertà
di
massa ed esser stato influenzato dalle letture sulle teorie
marxiste,
concluse che solo la rivoluzione avrebbe potuto risolvere le
disuguaglianze sociali ed economiche dell'America Latina. Cominciò
ad immaginare la possibilità di una Ibero - America unita e senza
confini, legata da una stessa cultura, un'idea che assumerà notevole
importanza nelle sue ultime attività rivoluzionarie.
Guevara si era
recato per breve tempo in El
Salvador
per
procurarsi un nuovo visto ed in seguito era ritornato in Guatemala.
Nel frattempo, aveva avuto inizio il colpo
di stato
di Carlos
Castillo Armas,
messo in atto con l'appoggio della CIA.
A seguito del colpo
di stato, Guevara si rifugiò nel consolato
argentino
e poi si trasferì in Messico.
Il colpo di Stato
consolidò l'opinione di Guevara che gli Stati Uniti fossero una
potenza imperialista,
che si sarebbe sempre opposta ai governi intenzionati a ridurre le
disparità economiche, endemiche in America Latina e negli altri
paesi in via di sviluppo. Questo rafforzò ulteriormente la sua
convinzione secondo cui solo il socialismo, raggiunto attraverso la
lotta armata e difeso dal popolo in armi, avrebbe risolto i problemi
dei paesi poveri.
Il 25 novembre 1956
la nave “Granma”
partì alla volta di Cuba da Tuxpan,
Guevara, l'italiano Gino
Donè Paro,
il messicano Alfonso e il dominicano Ramon Mejías, erano i soli non
cubani a bordo. Il 2 dicembre avvenne lo sbarco e poco dopo furono
attaccati dai militari di Batista e la metà di loro cadde in
combattimento o fu uccisa dopo la cattura.
I sopravvissuti,
dodici a cui si aggiunsero dei contadini incontrati dopo lo sbarco,
si riorganizzarono e fuggirono sulle montagne della Sierra
Maestra,
per condurre la guerriglia
contro il regime.
Negli ultimi giorni
del dicembre 1958
diresse l'attacco condotto dalla sua "squadra suicida" su
Santa
Clara.
Fu una delle battaglie decisive!
Il 2 gennaio 1959
la
colonna del Che entrò nella capitale di Cuba, L'Avana,
e occupò la fortezza militare "La Cabana”.
Il 7 febbraio 1959,
il nuovo governo nominò Guevara "Cittadino cubano per diritto
di nascita".
In seguito, Guevara
divenne dirigente dell'Istituto Nazionale per la Riforma Agraria e
poi presidente della
Banca
Nazionale di Cuba.
Non condivideva
l’ortodossia del comunismo sovietico. E anzi, nel 1962, quando
Nikita Kruscev, senza dire nulla a Fidel Castro, ritirò i missili da
Cuba, lo ritenne un tradimento. “I paesi socialisti hanno il dovere
morale di liquidare la loro tacita complicità con i paesi
sfruttatori del mondo occidentale”, aveva detto nel suo ultimo
discorso pubblico.
Guevara, durante i
primi giorni di ottobre, ormai con poche informazioni, senza viveri e
con scarse vie di scampo, si rifugiò in un canalone dove fu
circondato dalle forze militari. Qui fu catturato dall'esercito
boliviano, assieme ad altri guerriglieri, l'8 ottobre del 1967 a
pochi km dal villaggio di La
Higuera.
Si arrese dopo essere stato ferito alle gambe. Essendo disarmato,
avrebbe detto: “Non sparate. Sono Che Guevara. Posso esservi più
utile da vivo che da morto”.
Che Guevara fu
ucciso nel primo pomeriggio successivo, il 9 ottobre 1967. Fu scelto
a sorte tra alcuni volontari, Mario
Terán,
un sergente dell'esercito. Su quanto accadde dopo, esistono diverse
versioni. Qualcuno dice che Terán era troppo nervoso, al punto di
uscire dal locale e dover essere ricondotto dentro a forza. Per
altri, non volle guardare Guevara in faccia, così da sparargli alla
gola,
ferita che sarebbe stata fatale. Per altri ancora, il sergente
avrebbe avuto bisogno di ubriacarsi, al fine di portare a termine il
compito. La versione più accreditata dai simpatizzanti racconta che
Guevara ricevette diversi colpi d'arma da fuoco alle gambe, sia per
evitare di deturpargli il volto e ostacolarne l'identificazione, sia
per simulare ferite in combattimento, così da nascondere
l'esecuzione sommaria del prigioniero. Il colpo di grazia al cuore,
fu sparato da Felix Rodriguez. Guevara pronunciò diverse parole
prima della morte.
Il suo corpo fu
legato ai pattini di un elicottero e portato a Valle Grande, dove
venne adagiato su un piano di lavaggio dell'ospedale e mostrato alla
stampa.
Il 15 ottobre Castro
riconobbe pubblicamente la morte di Guevara e proclamò tre giorni di
lutto nazionale. La morte del Che fu vista come un grave fallimento
per i movimenti rivoluzionari d'impronta socialista operanti
nell'America
latina
e nel resto del terzo
mondo.
La figura di Ernesto
Guevara viene vista come la figura del "mito", essendo
divenuto un'icona di livello internazionale per quella parte di
persone che si riconoscono nei suoi ideali rivoluzionari.
Alcuni autori hanno
accusato Guevara di aver commesso crimini contro l'umanità e
violazioni dei diritti umani, usando l'autorità che gli era stata
conferita nell'ambito dell'esercito rivoluzionario.
Oggi come oggi a mio
avviso, in un modo senza idee, senza valori e senza ideali, ogni
personaggio che è morto difendendo fino all'ultimo i suoi ideali
rappresenta un "mito" perché tende a soddisfare il bisogno
di fornire una spiegazione a fenomeni naturali o a problemi politici.
Che Guevara rappresenta la rivoluzione, la ribellione ad un sistema apparentemente immodificabile, però è anche considerato responsabile o comunque complice dei crimini commessi nella prima parte della storia della rivoluzione Cubana, dove una sconsiderata politica avrebbe determinato la miseria di molte persone a vantaggio di poche e che avrebbe spinto molti a fuggire da Cuba.
Che Guevara rappresenta la rivoluzione, la ribellione ad un sistema apparentemente immodificabile, però è anche considerato responsabile o comunque complice dei crimini commessi nella prima parte della storia della rivoluzione Cubana, dove una sconsiderata politica avrebbe determinato la miseria di molte persone a vantaggio di poche e che avrebbe spinto molti a fuggire da Cuba.
La stessa cosa vale
per Mussolini che rappresenta anch'esso la rivoluzione e il
ripristino dell'ordine di fronte ad un mondo governato senza regole,
dove non si può far niente e si può far tutto.
Anche lui ha
contribuito alle leggi razziali, ai campi di concentramento e ad i
crimini di guerra in Libia ed Eritrea.
Solo che di fronte ad un scenario già considerato disastroso, si pensa che peggio di così non si possa andare e quindi l' attenzione si sposta solo sui lati positivi e risolutivi del personaggio, diventando così un mito!
Solo che di fronte ad un scenario già considerato disastroso, si pensa che peggio di così non si possa andare e quindi l' attenzione si sposta solo sui lati positivi e risolutivi del personaggio, diventando così un mito!
Chi si nutre del
motto “Hasta la victoria siempre” non si potrà mai adattare a
una scrivania governativa e alle sue scartoffie.
Federica De Sanctis
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