La corruzione sembra essere un problema cronico della società
italiana.
Già conosciuta e oggetto di pubblico dibattito presso i Romani, la
corruzione non ha mai smesso di scandire il susseguirsi delle vicende
storiche del nostro paese.
Ricordiamo
la vendita delle indulgenze ai tempi di papa Leone X, che generò,
per ripulsa, la Riforma protestante, per passare poi, in anni più
recenti, allo scandalo della Banca Romana, che travolse il governo
Giolitti nel 1892-93 e di cui parla anche Pirandello nel romanzo I
vecchi e i giovani , per arrivare, ai giorni nostri, allo
scandalo delle tangenti, indicato dai giornali anche col nome di
"inchiesta di Mani Pulite" o "Tangentopoli".
Uno scandalo che, nei primi anni Novanta, ha coinvolto imprenditori e
uomini politici e che ha decimato la classe dirigente della
cosiddetta Prima Repubblica.
Quando si parla di
corruzione si fa riferimento, in realtà, a due reati specifici: la
corruzione propriamente detta, quando si offre denaro a un pubblico
funzionario per riceverne dei vantaggi e la concussione, quando è il
pubblico ufficiale a richiedere una ricompensa in cambio di favori da
elargire.
Dopo Tangentopoli,
la percezione di tanti è che in realtà la corruzione sia in Italia
ancora molto diffusa. Perché, allora, nonostante le condanne
talvolta severe e i tragici prezzi umani, pagati da alcuni inquisiti,
la corruzione continua a prosperare nel nostro paese? Gli studiosi,
sociologi, magistrati, economisti, ne hanno abbozzato, in questi
anni, i motivi.
Le procedure della
pubblica amministrazione sono farraginose. Il modo di organizzare gli
uffici eccessivamente burocratico e superato. Si lavora ancora sulla
correttezza formale degli adempimenti e non sui risultati.
L'interpretazione
di norme, leggi e regolamenti intricatissimi lascia ampia
discrezionalità al singolo funzionario e crea gli spiragli
favorevoli per l'infiltrarsi della corruzione.
L'arricchimento è considerato dagli italiani come il principale segno di distinzione e di superiorità sociale. L'aristocrazia del denaro è l'unica gerarchia riconosciuta. I soldi facili costituiscono una tentazione cui, ai più, è difficile resistere. Anche il potere lo si acquisisce col denaro, più che con la competenza.
Il tornaconto
personale, l'appartenenza a una famiglia, un clan, una corporazione
professionale hanno sempre la meglio, nel Belpaese, sul rispetto per
il bene comune e l'interesse collettivo.
Valori di civismo
molto diffusi in democrazie molto più mature della nostra, trovano
da noi un'adesione soltanto formale, di facciata. La vita pubblica
italiana scorre da sempre sul doppio binario morale dei vizi privati
e delle pubbliche virtù, del predicare bene e razzolare male.
La corruzione,
intanto, non soltanto crea ingiustizia, ma danneggia pesantemente
anche la vita economica del paese. Quando i giochi sono truccati, a
vincere sono i più furbi, non i più bravi.
Se l'azienda che
vince un appalto pubblico, per esempio, costruisce opere malfatte,
inutili, a costi altissimi, il danno che ne deriva alla collettività
è immenso. "Ungere le ruote" diventa la prassi abituale se
l'appartenenza a un clan fa premio sul merito; nelle scuole, negli
uffici, negli ospedali, nelle aziende, nella vita economica in genere
di un paese corrotto, vinceranno i mediocri, mentre i più competenti
rischieranno di essere esclusi.
In altre parole si
cambia tutto per non cambiare nulla
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