L’immagine
di Ponte, segno drammatico del Rinascimento - La via dei Coronari e
Monte Giordano - Dimore del ‘400 e rinnovamento ai tempi di
Raffaello - il vicolo del Curato e via di Panico - L’antico
“Canale di Ponte” - La piazza di Ponte (scomparsa), dal 1300 a
fine 1800 - Bernini a ponte S. Angelo - Il Castello e il
Passetto di Borgo - Borgo Vecchio e Borgo Nuovo - La via Alexandrina
e i palazzi rinascimentali - Artisti e botteghe presso san Pietro -
La “via Sixtina” antica fino al portone di bronzo - Il
colonnato.
La storia.
Il cammino dei pellegrini, in particolare dal tempo dei grandi Giubilei del 1450 e del 1475, si avviò soprattutto dal nuovo e popoloso rione di Parione - ossia dai dintorni di piazza Navona - per una strada molto affollata, che un papa allargò e raddrizzò, secondo il tracciato imperiale di quindici secoli prima.
Questa strada, realizzata al tempo di Nerone (54-68 d.C.), partendo dall’attuale piazza Colonna, allora porticata, mirava diritto ad occidente, tagliando esattamente in due l’ansa del Tevere, già da tempo chiamata “campo di Marte”, e giungeva fino al ponte Neroniano, che varcava il fiume subito dopo che il corso d’acqua, proveniente da nord, aveva compiuto la svolta a sinistra, lasciando sulla sua riva a mano manca una lingua di terra che si nota molto bene sulla pianta di Roma, segnata dal fiume. Il ponte Neroniano fu poi ornato da un arco di trionfo e detto, perciò, ponte Trionfale. Nei giorni estivi e di magra, ancora oggi si vedono le rovine dei suoi piloni maggiori, a valle di ponte Vittorio Emanuele.
La strada neroniana fu detta via Recta, proprio per la caratteristica del suo tracciato: il primo tratto è sepolto sotto il palazzo Weedekind, ottocentesco, di piazza Colonna, ed un’altra porzione sotto il grosso isolato di palazzo Capranica: ma la via Recta, restaurata negli anni settanta del ‘400, la ritroviamo nel percorso che da via del Collegio Capranica prosegue per via delle Coppelle, attraversa il largo di sant’Agostino e il largo di Tor Sanguigna, a pochi passi da piazza Navona, per continuare poi nell’attuale via dei Coronari.
Finita questa strada, ancora un antichissimo passaggio pedonale sotto vecchi palazzi continua l’andamento della via neroniana, in direzione dell’antico ponte, crollato nei primi secoli del medioevo: si chiama “Arco dei Banchi” l’antico passaggio pedonale, che ricorda in una lapide un’alluvione del Tevere del milleduecento, ossia antecedente al primo Giubileo, quello del 1300.
L’immagine di Ponte è a metà circa della via dei Coronari, tratto finale della “via Recta” raddrizzata e rimessa in funzione da Sisto IV. Era un’antica immagine della Madonna, posta allo spigolo smussato di un palazzo, con un’inquadratura di marmo rinascimentale, per ricordare un’illustre vittima di una tragedia storica che ebbe, in questo rione, l’epicentro e i fatti più drammatici. Il rione è Ponte, che prende il nome dalla vicinanza di ponte S. Angelo, per secoli rimasto l’unico varco sul Tevere per recarsi a san Pietro. L’immagine, che con i suoi ornamenti inquadra tre piani dell’angolo smussato del vecchio palazzetto, fu dipinta da Perin del Vaga, allievo di Raffaello; e l’ornato architettonico fu disegnato da Antonio Luciani, detto da San Gallo, anch’egli molto vicino all’Urbinate, per il nobile Antonio Serra, piemontese del Monferrato: il suo nome è ancor oggi ricordato, sotto l’immagine di Maria (appena visibile), poichè fu vittima dei Lanzichenecchi nella giornata terribile del 6 maggio 1527, quando essi cominciarono il terribile saccheggio di Roma.
Raccontano le cronache che il Serra, quella mattina, era in borgo e fu sorpreso dall’irruzione degli inferociti armigeri tedeschi; tentò di cercare riparo, correndo verso Castel S. Angelo, mentre i difensori del castello gli tenevano aperte le porte; entrò trafelato e le chiusero alle sue spalle, ma si accasciò a terra: un infarto lo aveva stroncato. Ecco perchè il suo nome fu posto in evidenza, a memoria della tragedia.
L’immagine dette il nome a questa parte dell’antico rione Ponte. La stradina che accede è pur essa antica: si chiama oggi vicolo Domizio, ma oltre un secolo fa veniva popolarmente chiamata “vicolo del micio”, non ricordando allora che Domicius, in latino, menzionava una costruzione della “gens Domitia”, la famiglia di Domiziano, l’imperatore che costruì il circo Agonale, antenato di piazza Navona, alla fine del primo secolo della nostra era.
Oltre l’immagine di Ponte, si allineano, sulla sinistra di via dei Coronari, edifici addossati all’antico Monte Giordano: era questo un monticello, formato da rovine di edifici romani crollati, sui quali fu costruito nel medioevo un fortilizio degli Orsini, la famiglia dominante fino al 1300 questo lato del Tevere e molto influente in tutta Roma, fino alle zone di piazza Navona e di Campo de’ Fiori. Il nome stesso del “Monte”, citato da Dante nella “Divina Commedia” a proposito dell’anno santo 1300 (al quale il poeta partecipò), fu preso da un suo illustre proprietario, Giordano Orsini, Senatore di Roma (ossia, in pratica, Sindaco) attorno al 1350, cioè ai tempi di Francesco Petrarca, quando questo poeta fu laureato in Campidoglio. Del fortilizio degli Orsini restano ancora deboli tracce nel nucleo di case che vi furono costruite attorno, tra vecchi vicoli.
Il lato destro della via dei Coronari presenta la cosiddetta Casa di Raffaello, ai numeri 122-123. Da documenti antichi si sa che il grande pittore, avendo scelto già a poco più di trent’anni di essere sepolto nel Pantheon, lasciò una somma con la quale poi i suoi esecutori testamentari acquistarono una casa “in via dei Coronari” per pagare coi fitti le spese della sua tomba. Ma pare, da studi accurati, che la casa non fosse quella tradizionalmente indicata, con lapide all’interno.
Altro palazzo del rinascimento è, ai numeri 135-143, quello di Mariano Vecchiarelli, reatino, che ebbe un nipote cardinale. Ecco perchè una traversa, via dei Vecchiarelli, deve il suo nome semplicemente a questa famiglia, e non ad un ospizio di anziani. Poco prima un’altra traversa, via di Monte Vecchio, ricorda invece un’istituzione di carità della Roma del ‘500: era l’antico Monte di Pietà, poi sostituito con quello, più grande, nei pressi di Campo de’ Fiori.
La via dei Coronari, che prende il nome dagli antichi venditori di corone e coroncine, detti anche Paternostrari, si conclude in uno slargo sgraziato ed innaturale, frutto di uno “sventramento” dei primi del ‘900, a fianco della chiesa di San Salvatore in Lauro, antica parrocchia dei marchigiani a Roma.
L’ultimo tratto della strada “recta” antica, oltre la traversa di via di Panìco, cambia nome e si chiama vicolo del Curato: costeggia infatti la vecchia canonica del parroco della chiesa dei santi Celso e Giuliano, antica parrocchia di Ponte. Ma ora, per lo spopolamento del rione negli ultimi 50 anni, la chiesa è sempre chiusa (si affaccia su via del Banco di S. Spirito) e non è più parrocchia.
Anche il nome della vecchia via di Panìco, in parte allargata da stupide demolizioni degli anni trenta del ‘900, oggi non è più comprensibile: era la viuzza dei convegni di malavita, frequentata da “gente di coltello”; il nome, panìco, sembra derivare da un negozio di alimenti per uccellini (tale, appunto, è il panìco), o forse da un bassorilievo romano (scomparso) in cui alcuni volatili beccavano il mangime. I poeti romaneschi dell’ottocento ricordavano tutti la fama popolare di malavita di questa via stretta.
Oggi via del Banco di S. Spirito è il nome moderno della strada che dal vicolo del Curato conduce a Ponte S. Angelo. Ma, in antico, era semplicemente “er canale de Ponte”: ossia la strada in cui, specie negli anni santi, si incanalavano i pellegrini che poi s’affollavano sul Ponte. Dante ricorda che fin dal ‘300 le autorità cittadine ponevano delle transenne per dividere il ponte, in modo da realizzare due sensi unici: a destra quelli diretti a Castel S. Angelo e poi a san Pietro; a sinistra si vedevano venire quelli che s’affollavano sul ponte dalla parte di Borgo, ossia da oltre Tevere. Poichè, ad un bivio precedente, s’affacciava un palazzetto in cui ebbe sede il banco papale, chiamato di Santo Spirito (istituito perchè i poveri potessero sfuggire allo strozzinaggio), fu dato al “Canale di Ponte” il nuovo nome.
Ma più interessante era la piazza animatissima che s’incontrava allo sbocco del "canale” dei pellegrini; l’antica piazza di Ponte. Sparì con la costruzione degli alti argini del Tevere, a fine ‘800, sui quali corrono oggi i Lungotevere. Per almeno cinque secoli fu la piazza dei mercanti di pesce pregiato e la piazza della giustizia papale. Davanti al ponte si impiccavano o decapitavano i malfattori; si esponevano le mani mozzate dei ladri e le lingue dei mendaci.
Oltre il punto in cui sono oggi le statue cinquecentesche dei santi Pietro e Paolo, cominciava un’altra città, del tutto diversa. La “Roma sacra”, dove era vietato ogni pubblico mercato, ogni albergo a pagamento, ogni transazione a base di denaro e ogni operazione di commercio. Gli stessi angeli, posti dal Bernini a metà '600 con i simboli della Passione di Gesù, dovevano aiutare nella meditazione, nella carità e nella preghiera. Si ospitavano i pellegrini, ma solo gratis e “per amor di Dio”. Decine di confraternite delle più diverse nazioni avevano i loro ospizi e i loro asili. Al di là del ponte, costeggiato Castel S. Angelo, cominciava fino agli ultimi decenni del 1400 la "portica", una serie di porticati e di vie ombreggiate, spesso da semplici tende, per dare un po d’ombra o di riparo dalla pioggia ai romei che camminavano verso san Pietro. Chiese e cappelle assai antiche, ogni tanto, offrivano luoghi di sosta. La “portica” fu poi demolita, a fine ‘400, da papa Alessandro VI Borgia, per fare una via più diritta tra palazzetti rinnovati: e, dal suo nome, il papa la chiamò via Alexandrina (una targa stradale di quel tempo è murata, oggi, nel cortile d’un palazzo). La gente la chiamò Borgo Nuovo: e con tale nome è rimasta, fino agli anni ‘30 del ‘900: poi, demolita la vecchia “spina di Borgo” tra la via più antica, che correva parallela sulla sinistra, detta Borgo Vecchio, e quella messa a nuovo tra gli anni 1492 e 1500 da papa Alessandro VI, fu realizzata, per l’anno santo 1950, la vasta strada fra Tevere e Piazza san Pietro, detta via della Conciliazione. Ma pochi sanno che le due file di obelischi e le due piccole strade laterali, parallele alla larga corsia, ricordano i due tracciati dei “borghi”, vecchio e nuovo.
Sulla destra, oltre la bella chiesa di S. Maria in Traspontina (cioè: di là dal Ponte), a metà di via della Conciliazione sulla destra, si trova un palazzo dalla fronte rinascimentale, ornato di pietra grigia, totalmente ricostruito: era nel cuore dei Borghi. Demolito, fu poi esattamente rifatto come se fosse stato girato di 90 gradi, per dare la facciata sulla nuova e larga via. Perchè conservare quel palazzo? In quello era morto, il 6 aprile 1520, un venerdì santo, Raffaello Sanzio. E per tre giorni, fino a Pasqua, davanti alla sua salma di trentasettenne, che pareva di persona assai più giovane, sfilò ammirata tutta Roma. A capo del letto funebre era stata posta la grande tavola, incompiuta, della Trasfigurazione di Cristo. Ne scrissero gli ambasciatori e i corrispondenti da Roma di tutto il mondo. Finiva con lui il Rinascimento.
La storia.
Il cammino dei pellegrini, in particolare dal tempo dei grandi Giubilei del 1450 e del 1475, si avviò soprattutto dal nuovo e popoloso rione di Parione - ossia dai dintorni di piazza Navona - per una strada molto affollata, che un papa allargò e raddrizzò, secondo il tracciato imperiale di quindici secoli prima.
Questa strada, realizzata al tempo di Nerone (54-68 d.C.), partendo dall’attuale piazza Colonna, allora porticata, mirava diritto ad occidente, tagliando esattamente in due l’ansa del Tevere, già da tempo chiamata “campo di Marte”, e giungeva fino al ponte Neroniano, che varcava il fiume subito dopo che il corso d’acqua, proveniente da nord, aveva compiuto la svolta a sinistra, lasciando sulla sua riva a mano manca una lingua di terra che si nota molto bene sulla pianta di Roma, segnata dal fiume. Il ponte Neroniano fu poi ornato da un arco di trionfo e detto, perciò, ponte Trionfale. Nei giorni estivi e di magra, ancora oggi si vedono le rovine dei suoi piloni maggiori, a valle di ponte Vittorio Emanuele.
La strada neroniana fu detta via Recta, proprio per la caratteristica del suo tracciato: il primo tratto è sepolto sotto il palazzo Weedekind, ottocentesco, di piazza Colonna, ed un’altra porzione sotto il grosso isolato di palazzo Capranica: ma la via Recta, restaurata negli anni settanta del ‘400, la ritroviamo nel percorso che da via del Collegio Capranica prosegue per via delle Coppelle, attraversa il largo di sant’Agostino e il largo di Tor Sanguigna, a pochi passi da piazza Navona, per continuare poi nell’attuale via dei Coronari.
Finita questa strada, ancora un antichissimo passaggio pedonale sotto vecchi palazzi continua l’andamento della via neroniana, in direzione dell’antico ponte, crollato nei primi secoli del medioevo: si chiama “Arco dei Banchi” l’antico passaggio pedonale, che ricorda in una lapide un’alluvione del Tevere del milleduecento, ossia antecedente al primo Giubileo, quello del 1300.
L’immagine di Ponte è a metà circa della via dei Coronari, tratto finale della “via Recta” raddrizzata e rimessa in funzione da Sisto IV. Era un’antica immagine della Madonna, posta allo spigolo smussato di un palazzo, con un’inquadratura di marmo rinascimentale, per ricordare un’illustre vittima di una tragedia storica che ebbe, in questo rione, l’epicentro e i fatti più drammatici. Il rione è Ponte, che prende il nome dalla vicinanza di ponte S. Angelo, per secoli rimasto l’unico varco sul Tevere per recarsi a san Pietro. L’immagine, che con i suoi ornamenti inquadra tre piani dell’angolo smussato del vecchio palazzetto, fu dipinta da Perin del Vaga, allievo di Raffaello; e l’ornato architettonico fu disegnato da Antonio Luciani, detto da San Gallo, anch’egli molto vicino all’Urbinate, per il nobile Antonio Serra, piemontese del Monferrato: il suo nome è ancor oggi ricordato, sotto l’immagine di Maria (appena visibile), poichè fu vittima dei Lanzichenecchi nella giornata terribile del 6 maggio 1527, quando essi cominciarono il terribile saccheggio di Roma.
Raccontano le cronache che il Serra, quella mattina, era in borgo e fu sorpreso dall’irruzione degli inferociti armigeri tedeschi; tentò di cercare riparo, correndo verso Castel S. Angelo, mentre i difensori del castello gli tenevano aperte le porte; entrò trafelato e le chiusero alle sue spalle, ma si accasciò a terra: un infarto lo aveva stroncato. Ecco perchè il suo nome fu posto in evidenza, a memoria della tragedia.
L’immagine dette il nome a questa parte dell’antico rione Ponte. La stradina che accede è pur essa antica: si chiama oggi vicolo Domizio, ma oltre un secolo fa veniva popolarmente chiamata “vicolo del micio”, non ricordando allora che Domicius, in latino, menzionava una costruzione della “gens Domitia”, la famiglia di Domiziano, l’imperatore che costruì il circo Agonale, antenato di piazza Navona, alla fine del primo secolo della nostra era.
Oltre l’immagine di Ponte, si allineano, sulla sinistra di via dei Coronari, edifici addossati all’antico Monte Giordano: era questo un monticello, formato da rovine di edifici romani crollati, sui quali fu costruito nel medioevo un fortilizio degli Orsini, la famiglia dominante fino al 1300 questo lato del Tevere e molto influente in tutta Roma, fino alle zone di piazza Navona e di Campo de’ Fiori. Il nome stesso del “Monte”, citato da Dante nella “Divina Commedia” a proposito dell’anno santo 1300 (al quale il poeta partecipò), fu preso da un suo illustre proprietario, Giordano Orsini, Senatore di Roma (ossia, in pratica, Sindaco) attorno al 1350, cioè ai tempi di Francesco Petrarca, quando questo poeta fu laureato in Campidoglio. Del fortilizio degli Orsini restano ancora deboli tracce nel nucleo di case che vi furono costruite attorno, tra vecchi vicoli.
Il lato destro della via dei Coronari presenta la cosiddetta Casa di Raffaello, ai numeri 122-123. Da documenti antichi si sa che il grande pittore, avendo scelto già a poco più di trent’anni di essere sepolto nel Pantheon, lasciò una somma con la quale poi i suoi esecutori testamentari acquistarono una casa “in via dei Coronari” per pagare coi fitti le spese della sua tomba. Ma pare, da studi accurati, che la casa non fosse quella tradizionalmente indicata, con lapide all’interno.
Altro palazzo del rinascimento è, ai numeri 135-143, quello di Mariano Vecchiarelli, reatino, che ebbe un nipote cardinale. Ecco perchè una traversa, via dei Vecchiarelli, deve il suo nome semplicemente a questa famiglia, e non ad un ospizio di anziani. Poco prima un’altra traversa, via di Monte Vecchio, ricorda invece un’istituzione di carità della Roma del ‘500: era l’antico Monte di Pietà, poi sostituito con quello, più grande, nei pressi di Campo de’ Fiori.
La via dei Coronari, che prende il nome dagli antichi venditori di corone e coroncine, detti anche Paternostrari, si conclude in uno slargo sgraziato ed innaturale, frutto di uno “sventramento” dei primi del ‘900, a fianco della chiesa di San Salvatore in Lauro, antica parrocchia dei marchigiani a Roma.
L’ultimo tratto della strada “recta” antica, oltre la traversa di via di Panìco, cambia nome e si chiama vicolo del Curato: costeggia infatti la vecchia canonica del parroco della chiesa dei santi Celso e Giuliano, antica parrocchia di Ponte. Ma ora, per lo spopolamento del rione negli ultimi 50 anni, la chiesa è sempre chiusa (si affaccia su via del Banco di S. Spirito) e non è più parrocchia.
Anche il nome della vecchia via di Panìco, in parte allargata da stupide demolizioni degli anni trenta del ‘900, oggi non è più comprensibile: era la viuzza dei convegni di malavita, frequentata da “gente di coltello”; il nome, panìco, sembra derivare da un negozio di alimenti per uccellini (tale, appunto, è il panìco), o forse da un bassorilievo romano (scomparso) in cui alcuni volatili beccavano il mangime. I poeti romaneschi dell’ottocento ricordavano tutti la fama popolare di malavita di questa via stretta.
Oggi via del Banco di S. Spirito è il nome moderno della strada che dal vicolo del Curato conduce a Ponte S. Angelo. Ma, in antico, era semplicemente “er canale de Ponte”: ossia la strada in cui, specie negli anni santi, si incanalavano i pellegrini che poi s’affollavano sul Ponte. Dante ricorda che fin dal ‘300 le autorità cittadine ponevano delle transenne per dividere il ponte, in modo da realizzare due sensi unici: a destra quelli diretti a Castel S. Angelo e poi a san Pietro; a sinistra si vedevano venire quelli che s’affollavano sul ponte dalla parte di Borgo, ossia da oltre Tevere. Poichè, ad un bivio precedente, s’affacciava un palazzetto in cui ebbe sede il banco papale, chiamato di Santo Spirito (istituito perchè i poveri potessero sfuggire allo strozzinaggio), fu dato al “Canale di Ponte” il nuovo nome.
Ma più interessante era la piazza animatissima che s’incontrava allo sbocco del "canale” dei pellegrini; l’antica piazza di Ponte. Sparì con la costruzione degli alti argini del Tevere, a fine ‘800, sui quali corrono oggi i Lungotevere. Per almeno cinque secoli fu la piazza dei mercanti di pesce pregiato e la piazza della giustizia papale. Davanti al ponte si impiccavano o decapitavano i malfattori; si esponevano le mani mozzate dei ladri e le lingue dei mendaci.
Oltre il punto in cui sono oggi le statue cinquecentesche dei santi Pietro e Paolo, cominciava un’altra città, del tutto diversa. La “Roma sacra”, dove era vietato ogni pubblico mercato, ogni albergo a pagamento, ogni transazione a base di denaro e ogni operazione di commercio. Gli stessi angeli, posti dal Bernini a metà '600 con i simboli della Passione di Gesù, dovevano aiutare nella meditazione, nella carità e nella preghiera. Si ospitavano i pellegrini, ma solo gratis e “per amor di Dio”. Decine di confraternite delle più diverse nazioni avevano i loro ospizi e i loro asili. Al di là del ponte, costeggiato Castel S. Angelo, cominciava fino agli ultimi decenni del 1400 la "portica", una serie di porticati e di vie ombreggiate, spesso da semplici tende, per dare un po d’ombra o di riparo dalla pioggia ai romei che camminavano verso san Pietro. Chiese e cappelle assai antiche, ogni tanto, offrivano luoghi di sosta. La “portica” fu poi demolita, a fine ‘400, da papa Alessandro VI Borgia, per fare una via più diritta tra palazzetti rinnovati: e, dal suo nome, il papa la chiamò via Alexandrina (una targa stradale di quel tempo è murata, oggi, nel cortile d’un palazzo). La gente la chiamò Borgo Nuovo: e con tale nome è rimasta, fino agli anni ‘30 del ‘900: poi, demolita la vecchia “spina di Borgo” tra la via più antica, che correva parallela sulla sinistra, detta Borgo Vecchio, e quella messa a nuovo tra gli anni 1492 e 1500 da papa Alessandro VI, fu realizzata, per l’anno santo 1950, la vasta strada fra Tevere e Piazza san Pietro, detta via della Conciliazione. Ma pochi sanno che le due file di obelischi e le due piccole strade laterali, parallele alla larga corsia, ricordano i due tracciati dei “borghi”, vecchio e nuovo.
Sulla destra, oltre la bella chiesa di S. Maria in Traspontina (cioè: di là dal Ponte), a metà di via della Conciliazione sulla destra, si trova un palazzo dalla fronte rinascimentale, ornato di pietra grigia, totalmente ricostruito: era nel cuore dei Borghi. Demolito, fu poi esattamente rifatto come se fosse stato girato di 90 gradi, per dare la facciata sulla nuova e larga via. Perchè conservare quel palazzo? In quello era morto, il 6 aprile 1520, un venerdì santo, Raffaello Sanzio. E per tre giorni, fino a Pasqua, davanti alla sua salma di trentasettenne, che pareva di persona assai più giovane, sfilò ammirata tutta Roma. A capo del letto funebre era stata posta la grande tavola, incompiuta, della Trasfigurazione di Cristo. Ne scrissero gli ambasciatori e i corrispondenti da Roma di tutto il mondo. Finiva con lui il Rinascimento.
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